Hostia Pier Paolo Pasolini
Il grande progetto dedicato al maestro in mostra a Napoli
Lasciandoci alle spalle il brulichio della vita metropolitana di Napoli ed entrando al Maschio Angioino, ci si trova ad ammirare Hostia Pier Paolo Pasolini, il progetto che l’artista Nicola Verlato ha dedicato all’intellettuale, poeta e regista italiano, allestito nella Cappella Palatina del prestigioso edificio medievale.
Qui si uniscono pittura, scultura e architettura in un ambiente immersivo che affascina e cattura lo spettatore. Il progetto espositivo nasce dall’idea di realizzare un’opera monumentale, un cenotafio in memoria di Pasolini, artista, pensatore e scrittore tra i più amati e osteggiati del Novecento italiano, proprio all’idroscalo di Ostia, quale luogo famigerato dove si è consumata la sua morte tragica.
Il monumento funebre laico, di cui è esposto un modellino, prevede oltre al cenotafio – che consiste in un mausoleo a pianta centrale che prende spunto dal Tempietto di San Pietro in Montorio del Bramante -, un museo, una sala cinematografica e un teatro all’aperto, che dovranno costituire i punti cardine di una piazza, ispirata al Camposanto di Pisa, già set filmico per Medea, tutto con l’intento di celebrare il grande artista nei suoi aspetti più importanti, restringendo le corde della memoria anche e soprattutto con la “sua” gente. Richiamando l’arte classica attraverso l’architettura viene conferita una funzione tuttavia contemporanea al complesso. In tal modo, il museo è concepito con un andamento rettilineo incluso in un lungo porticato che permette al visitatore di percorrere le tappe della vita di Pasolini in maniera cronologica, e addentrandosi sempre di più nelle viscere dell’edificio e dunque nella sua esistenza, si giunge poi alla fine, che corrisponde alla brusca interruzione della vita del famoso autore italiano.
Il dipinto che costituisce il cuore della mostra e che è considerato il seme (detonatore) che ha portato all’immaginazione del progetto per la città di Ostia, è Hostia, devoto ad alludere al sacrificio, al martirio, all’ultimo passaggio prima che Pasolini espiasse la sua vita. Seguendo una tripartizione in verticale, il grande olio su tela raffigura l’interno del futuro Mausoleo dal cui oculo soprastante la cupola si affacciano oltre al presunto assassino Pino Pelosi, gli agenti della polizia, alcuni spettatori e giornalisti, evocando l’affresco quattrocentesco dipinto dal Mantegna nella Camera degli Sposi a Mantova. Dall’apertura nel quadro di Verlato, che incarna la prospettiva dal hic et nunc dello spettatore, precipita il corpo di Pasolini, in una discesa che paradossalmente appare come un viaggio a ritroso nel tempo, verso un momento felice della sua infanzia. Così, in basso, su una sorta d’isolotto Pasolini si ritrova bambino seduto sul grembo della madre che gli insegna la poesia sotto l’occhio vigile di Petrarca, con cui scambia sguardi intensi, e in presenza del poeta Ezra Pound nudo e semisdraiato come un dio fluviale. Dall’isolotto si erge un albero dalle sembianze di un leccio le cui fronde giungono quasi all’oculo, e che affonda le radici in questo scenario idilliaco dell’infanzia, nell’alveo di un mondo classico antico che è contornato da un colonnato di colonne corinzie, volutamente ribaltato rispetto all’ordine dorico svelando l’inversione del passato con il presente, mentre il fusto arborio si trova all’altezza mediana del tempietto laico dove si dispiega una danza orgiastica di corpi nudi dalle fattezze e corporature michelangiolesche, che sprigiona la potenza narrativa simile al Giudizio Universale della Cappella Sistina. Il tempo appare congelato laddove il giudizio è sospeso, mentre i personaggi hanno lasciato le loro connotazioni specifiche per abbandonarsi a questo intreccio di fisici scolpiti dalle pennellate realiste e ben calibrate del pittore veneto. Il leccio pertanto, in un’accezione trascendente come descritto nei “Detti” del beato Egidio, rimanda all’albero prediletto di Cristo in quanto fu l’unico a intuire che dovette sacrificarsi, come il Salvatore, per contribuire alla Redenzione. Riferendosi alla figura di Pasolini, è come se solamente attraverso il sacrificio (voluto e consapevole) della persona fisica mediante questo atto violento, il suo opus ovvero il suo corpo poetico fosse potuto risuscitare per permanere nella storia.
Nella mostra, tre piccoli ritratti dipinti sono messi a confronto con alcuni busti di personaggi rilevanti nella vita dell’autore. Raccogliendo più immagini possibili esistenti dei medesimi soggetti, Verlato le elabora con l’espediente del computer per ottenere fattezze autentiche e organiche che poi trasforma in busti in gesso o in sculture realizzate con la stampante 3D.
In questo modo, i tre piccoli ritratti dipinti, ripresi dal dipinto Hostia, derivano proprio da questi busti, le cui fisionomie si manifestano come ricostruzioni piuttosto veritiere di questi protagonisti, ed evidenziano le attinenze con la vita di Pasolini. Un ritratto è dello stesso Pasolini, raffigurato con un rametto di palma che allude al suo martirio, un altro di Ezra Pound con l’alloro del poeta e il terzo di Petrarca con la trecentesca tonaca. Pasolini che da bambino sognava di seguire le orme di un poeta come Petrarca, ad un certo punto sente la sua figura di poeta rigettata dalla società, che non concedeva più il diritto d’esistenza a quest’arte, portando così l’autore a percorrere una metamorfosi, e spingendolo a compiere l’atto estremo dell’uccisione affinché la sua poesia e la realtà coincidessero con la trasformazione di lui stesso in corpo poetico. Non era più la sua poesia, ma l’ascesa del suo corpo dopo la morte fisica alla sfera mitologica.
Nicola Verlato elabora ulteriori e sorprendenti parallelismi tra Pasolini e figure storiche che hanno segnato il passato di Roma; tra questi Caio Sempronio Gracco (154-121 a.C.) condensato nei dipinti “Gaio Sempronio Gracco ucciso dal suo schiavo” (olio su tela), e “Il cadavere di Tiberio Sempronio Gracco gettato nel Tevere” (olio su tela).
Gracco, il tribuno della plebe romana, eletto nel 123 a.C., propose leggi che vollero ristabilire l’effettiva sovranità del popolo ridimensionando il potere del senato. Similmente, il regista e scrittore comunicava con gli intellettuali del suo tempo ma frequentava il popolo delle periferie, facendosi portavoce di quei personaggi provenienti da ambienti disagiati e rendendoli protagonisti dei suoi film e di molta sua poesia. Cercando l’autenticità di Roma e della sua gente, era amato dal popolo e nonostante ciò trovò la sua morte in quella notte fatidica del 2 novembre 1975 lontano dalle luci della Capitale, nell’idroscalo di Ostia, assassinato violentemente proprio da uno di questi ragazzi di strada.
Si trova una convergenza tra i due personaggi, Gracco e Pasolini, nel modo e nel significato dell’uccisione. Se la morte di Caio Gracco, che si fece uccidere da un servo sulle pendici del Gianicolo, poteva apparire come una sconfitta dello sforzo di ripristinare la sovranità del popolo romano, questo fatto dimostrò in seguito che l’aristocrazia poté reggersi contro le esigenze dei plebei solamente con la violenza. Pasolini, invece, per permettere alla poesia di risorgere deve immolarsi, portando la sua stessa vita alla sfera mitologica.
La completa nudità dei corpi di questi dipinti può alludere alla spogliazione dai connotati socio-culturali, ma rimanda altresì alle opere statuarie e alle sculture dell’antico mondo greco-romano, che, celebrando la bellezza e la perfezione della scultura classica, caratterizzano l’identità cittadina in Italia, di cui Verlato si rende eccellente ed innovativo interprete.
Nel quadro dell’uccisione di Gracco ambientata su una roccia sopra la città di Roma, Pino Pelosi ha prestato il volto al servo che si regge al fusto di un albero, dopo che con la mano sinistra ha ficcato il pugnale nel fianco della vittima incarnata da Pier Paolo Pasolini. Gli ignudi della plebe raffigurati ai piedi del colle si agitano con i bastoni in mano. Sullo sfondo appare la veduta del centro di Roma con l’Altare della Patria (Vittoriano) e le numerose cupole delle chiese.
Similmente, nel dipinto “Assassinio di P.P.P. n.1” che Verlato espone alla mostra partenopea, tre aggressori con i bastoni di ferro in mano sono congelati nell’atto di infliggere delle violenze a Pino Pelosi e al corpo di Pasolini, che sta cadendo a terra dopo che è stato investito dalla sua stessa auto. Si presume che Pino Pelosi non sia stato unico responsabile a porre fine alla vita del poeta ma che, come ha affermato dopo la sua scarcerazione, ci siano stati altri colpevoli coinvolti.
L’altro quadro che fa trapelare delle analogie tra Pasolini e un personaggio storico è “Assassinio di P.P.P / Marlowe”. Il controverso drammaturgo cinquecentesco, accusato di libertinaggio ed omosessualità che pugnalò il capo dei servizi segreti inglesi, rimase egli stesso colpito da una coltellata in un occhio, morendo poi in circostanze tutt’ora non chiarite.
Nell’opera pittorica di Verlato si vede Pasolini nelle vesti del britannico Christopher Marlowe, ferito da un amico ad un occhio con il coltello, mentre sta cadendo da uno sgabello di una locanda, sotto lo sguardo attonito degli altri compagni commensali seduti al banchetto. Attraverso una dinamica intricata tra il divenire vittima e l’agire da carnefice, Pasolini trova l’identificazione con le vicissitudini della vita e morte di Marlowe. Entrambi eroi della poesia, trovano l’affermazione di quest’ultima nel superamento del proprio corpo materico.
Infine, il dipinto “Ritrovamento del corpo di P.P.P.” s’ispira nella composizione al Seppellimento di Santa Lucia di Caravaggio (conservata a Siracusa). In primo piano un cameraman con le sembianze dello stesso Verlato di una troupe televisiva diretta da Orson Welles come nel film “La ricotta”, riprende la scena del delitto, penetrando il piano dello spettatore. Ricompare la figura di Ezra Pound che corrisponde al vescovo officiante della tela di Caravaggio. Il corpo di Pasolini esanime, nella stessa posizione della santa, è steso con il volto verso il basso. L’agire delle figure in primo piano si contrappone alla quiete del gruppo di personaggi dietro la barella, come nelle tele antiche affollate da santi e beati. Qui sono sostituiti da alcuni dei protagonisti dei film di Pasolini, tra cui Maria Callas, Franco Citti, Anna Magnani, Ettore Garofalo e Totò, che insieme alla madre, compiangono silenziosamente il corpo del defunto. Il gesto della mano di Welles che indica Pasolini rievoca il gesto di Cristo della famosa Vocazione di San Matteo realizzata da Caravaggio per la Cappella Contarelli a San Luigi dei Francesi.
Se Nicola Verlato da una parte predilige soggetti contemporanei per le sue opere, dall’altra sceglie composizioni classiche per raccontarli, consapevole del mondo moderno in continua trasformazione, ma anche della forza identitaria scaturita dall’antico.
Il suo metodo consiste nella raccolta di quella massa di dati accumulati degli individui su un determinato soggetto, che poi trasforma in modello; produce una metafisica al contrario, ricavando l’idea di un soggetto dalle sue varie manifestazioni concrete.
La scultura di Verlato sfocia in pittura, e la pittura sfocia in scultura, quando si coagula al centro dell’istallazione in una scultura che raffigura lo stesso Pasolini sospeso per aria, ricollegandosi nuovamente al quadro Hostia.
Così, il corpo libero di Pasolini viene fissato nell’istante del suo precipizio, appeso a fili invisibili, che tengono il legno di cui è fatto. Come i crocifissi di molti paesini medievali, tanto cari a Pasolini, come anche l’arte medievale che ha l’uomo al centro di ogni prospettiva. Riecheggiano alcuni versi di Mamma Roma, “Io sono una forza del Passato.
Solo nella tradizione è il mio amore. Vengo dai ruderi, dalle chiese, dalle pale d’altare, dai borghi abbandonati sugli Appennini o le Prealpi, …”
Il peso del suo corpo ormai è evanescente, tuttavia, rimane la bellezza, la sublimazione della sua quintessenza.
L’istallazione è completata dal brano per coro e orchestra di Verlato sul canto “Strappa da te la vanita” di Ezra Pound, trasformando il progetto Hostia in un Gesamtkunstwerk che apre a nuovi scenari nell’arte.