Julius Evola e lo spirituale nell’arte
A un secolo dall’esperienza artistica, il pittore e pensatore romano viene celebrato in uno dei più importanti musei d’Europa. Si profila un momento di grande rilievo storico per l’arte italiana con la mostra “Julius Evola. Lo Spirituale nell’Arte” al MART di Rovereto, che ha aperto i suoi battenti al pubblico il 15 maggio 2022.
La mostra di Julius Evola (Roma 1898-1974) è la più vasta retrospettiva mai realizzata sull’artista filosofo, ed entusiasma seguaci evoliani, addetti al settore e non, per le 55 opere che finalmente si possono ammirare per la prima volta tutte insieme nelle ampie sale dell’avveniristico museo trentino. Una mostra ambiziosa, che nasce su un’idea di Vittorio Sgarbi e curata da Beatrice Avanzi e Giorgio Calcara. Oltre alle opere pittoriche, esposti molti documenti – scritti e pubblicazioni – così come alcune testimonianze, provenienti da prestigiose collezioni private e museali.
I curatori della mostra Giorgio Calcara e Beatrice Avanzi, e Guido Andrea Pautasso della Fondazione Julius Evola
L’importanza dell’artista Evola è stato per troppo tempo negata dal mondo culturale predominante, che l’ha sempre voluto associare a sfere ideologiche del primo Novecento, erroneamente, bisogna sottolineare, perché ignorano il fatto che il suo periodo artistico ha preceduto l’avvento anche del Fascismo.Tanto è vero che l’esperienza di Julius Evola nell’arte è tanto breve quanto intensissima e si svolge in un periodo che va dal 1915 al 1922 circa.
La mostra è frutto di un approfondito lavoro di ricerca storica e scientifica che dura da anni, motivata dalla necessità di riconoscere in Evola il più importante esponente dadaista italiano, nonché il primo artista ad aprire la strada all’astrattismo in Italia.
E’ il 2017 quando Giorgio Calcara, da sempre studioso di Evola, si reca a Berlino per cercare negli archivi della “Staatsbibliothek” le testimonianze per le importanti partecipazioni di Evola ad alcune mostre tenutesi alla galleria berlinese “Der Sturm” su iniziativa dell’acclamato gallerista e impresario d’arte Herwarth Walden. Calcara trova nei cataloghi che accompagnavano le mostre del 1921 i titoli di 44 opere con cui Evola partecipò a tre esposizioni; in queste occasioni espose al fianco, tra gli altri, di Paul Klee, Franz Marc, August Macke, Fernand Léger e dello stesso Kandinskij. Con Kandinskij Julius Evola condivideva una visione metafisica del cosmo, anche se nella sua speculazione teoretica all’astrattismo aggiungeva, spingendosi oltre: “evidentemente, perché disinteressata, l’arte deve essere priva di ogni contenuto usuale: in quanto esprime tutto, essa non deve significare nulla: non vi deve essere nulla da comprendere, nell’arte”. Il titolo della mostra di Rovereto rievoca quello del libro “Lo Spirituale nell’Arte” Vassilij Kandinskij pubblicato nel 1912, uno dei saggi spartiacque per l’arte novecentesca e precursore se non annunciatore dell’arte astratta, per l’appunto.
Il fondatore del Blaue Reiter teorizzava che “La liberazione dalla rappresentazione oggettiva porta alla liberazione dalla Materia…”, aprendo in questo modo le porte all’Era dello Spirito anche nel mondo dell’arte.
Giorgio Calcara e il presidente del Mart, Vittorio Sgarbi, presentano la mostra “Julius Evola. Lo spirituale nell’arte”
Il contributo di Evola alle mostre berlinesi forse sarà stato un punto di arrivo per la sua arte, l’affermazione del suo “astrattismo mistico” che caratterizza la sua produzione dal 1918 al ’21 con il quale prende già le distanze dalle avanguardie, aggiungendo un nuovo tassello nel mosaico dell’arte italiana.
Andando per ordine, l’esperienza di Evola artista, circoscritta in un lasso di tempo di circa 7 anni, comincia giovanissimo frequentando l’atelier di Giacomo Balla a Roma. Lì avviene il primo approccio col Futurismo, l’unica corrente d’avanguardia italiana in senso vero e proprio: culto per la velocità, dinamismo, il conflitto antitradizionale e antiborghese, e quella “modernolatria” che ambiva a rappresentare un nuovo paradigma estetico. Marinetti, Boccioni, Balla, Carrà, Depero, Soffici, Severini e molti altri, sono i chiassosi alfieri di un movimento che rivoluzionerà radicalmente il modo di fare cultura, esaurendo il campo delle manifestazioni artistiche: dalla pittura al teatro, dalla musica all’architettura, dalla poesia, alla scultura, sino alla cinematografia. In pittura, ciò si traduce in forme stilizzate dai colori sfavillanti, che generano nell’occhio dello spettatore paesaggi in movimento. Julius Evola anima le serate futuriste tra cui la “Grande serata futurista”, qualche volta vi rappresenta le sue composizioni poetiche, partecipa ad alcune mostre importanti come alla “Grande Esposizione Nazionale Futurista” del 1919 alla Galleria d’Arte Centrale di Milano esponendovi cinque dipinti.
Nonostante Julius Evola fosse stato incluso nella schiera degli artisti futuristi, né formalmente quantomeno idealmente vi aderisce mai. I quadri dipinti da Evola in questo arco di tempo (1915-18), vengono da lui stesso definiti come ispirati da un Idealismo Sensoriale in cui “il tema dell’arte è posto nella realtà pura dei sensi”, ma nel quale la percezione sensibile coglie la realtà nel suo aspetto simbolico-rappresentativo. Così, Evola si discostava dal movimento futurista rifiutando quell’attitudine prepotente, invadente e spontanea, poiché “rappresentava una sorta di dinamismo su base essenzialmente sensoriale, una sorta di slancio vitale del tutto sprovvisto di una dimensione interiore”.
Invece, quella dimensione interiore “spiritualista”, intesa come accesso ad una dimensione superiore attraverso l’evocazione di un caos primordiale Evola la trova alla conclusione del primo conflitto mondiale, appena finito di leggere il Manifesto del Dadaismo di Tristan Tzara nel 1918. Con il Manifesto, Tzara comunicava al mondo artistico il sovrano disgusto che il movimento dadaista da lui fondato, nutriva nei confronti degli agonizzanti residui dei canoni estetici e morali della cultura borghese. Evola afferma di sentirsi già profondamente affine all’indole dada ancor prima di leggere il Manifesto, di averci aderito ancora prima di conoscerlo.
Per questo motivo si rivolge al poeta rumeno scrivendogli una lettera che sarà la prima di un rapporto epistolare che si instaurerà tra loro e attraverso cui Evola fa l’elogio a questo movimento artistico rivoluzionario e di rottura che cambierà sensibilmente i connotati estetici dell’arte del Novecento. Qui l’arte raggiunge la sincope, percorrendo sentieri immaginari, divorando anche sé stessa nella furia iconoclasta, a-logica, a-morale, iperbolica. Manifesti, mostre, balletti, rappresentazioni teatrali, risse e ubriacature collettive scandiscono i ritmi di una frenetica, incessante produzione che, al contrario dei costrutti delle altre avanguardie, non è finalizzata alla ricerca di una soluzione definitiva. Evola in Italia è affiancato da Fiozzi e Cantarelli, i redattori della rivista dadaista mantovana “Bleu”. In questo orizzonte Julius Evola, poco più che ventenne, già studioso di testi di metafisica, mistica ed esoterismo, quintessenza la sua pratica artistica, alternando l’attività pittorica alle intense letture in ambito filosofico, di dottrine orientali e inerenti alla storia delle antiche tradizioni religiose. Contemporaneamente, il giovane Evola pubblica le prime composizioni poetiche, una brochure intitolata Arte Astratta (1920), e compone un poema a quattro voci, La parole obscure du paysage interiéur, che verrà rappresentato alle “Grotte dell’Augusteo” a Roma, accompagnato dalla musica dodecafonica di Schönberg, Satie e Bartok. La raccolta delle dieci poesie Arte Astratta è stata recentemente per la prima volta (dopo un secolo!) recitata e musicata e resa disponibile per il pubblico in un catalogo con audio cd dal titolo “L’arcaico raggio. L’arte astratta di Julius Evola”.
Evola assurge al ruolo di organizzazione culturale, e soprattutto partecipa nel 1921 alle più importanti esposizioni internazionali, come al Salon Dada alla Galerie Montaigne di Parigi e alla Exposition Internationale d’Arte Moderne di Ginevra.
Significative sono anche le mostre di Evola, tra personali e collettive, che si tengono alla Casa d’Arte Bragaglia di Roma tra il 1920 e il ’21.
Emergono gli elementi predominanti nella pittorica evoliana, metafore di un’esperienza che si trasfigura in un dominio meta-artistico, in forza della quale l’autore può quindi maturare il definitivo distacco da Dada, avendo egli direzionato il proprio ”impulso alla liberazione”.
Opere estranee ai dettami esteriori e spogliate dalle connotazioni dello Zeitgeist, rese a temporali, e scavalcandolo esternano un qualcosa condotto dalla “necessità interiore” di manifestarsi, covando già il seme e il “presentimento di un’arte nuova”. I quadri dell’ultimo periodo, perlopiù “Paesaggi Interiori” e “Composizioni”, testimoniano di uno straordinario lavoro di autoperfezionamento. E’ questo il periodo in cui Evola, disorientato dal labirinto dello spiritualismo più problematico, vive la propria “discesa agli inferi”: quella fase di cupio dissolvi che conduce inevitabilmente alla follia o al suicidio, a meno che non intervenga un deciso, repentino affiorare di energie insondabili e di risorse spirituali tali da condurre ad un “autotrascendimento ascendente”. Giunto a quel momento Julius Evola nel 1922 dichiara in un’altra lettera indirizzata all’amico Tzara che si sarebbe tolto la vita, annuncio che si rivelerà il suicidio di Evola artista ma non della persona fisica. Ormai l’incontro con il buddismo delle origini, con i Tantra (e con la tradizione magico ermetica, schiuderà ad Evola l’orizzonte lungo il quale si inoltra il sentiero della liberazione. Da questo momento l’opera evoliana si arricchisce di contenuti sapienziali, della simbologia della palingenesi alchemica, attraverso le tre fasi della Grande Opera, che era già consapevolmente riflessa nei dipinti.
Si avvia una ricca produzione di testi e trattati filosofici, numerose conferenze in tutta Europa, forse tutte elaborazioni consequenziali e complementari di ciò che aveva già potuto sperimentare nel suo fare artistico.
Sul finire degli anni Cinquanta Evola viene riscoperto da Claudio Bruni, gallerista della romana Medusa che riscopriva e rilanciava le avanguardie d’inizio secolo. A pieno diritto Julius Evola, ormai maturo anche dell’esperienza di pensatore e filosofo, dopo aver venduto tutti i quadri e con la casa “sguarnita” ormai, riprende tele, cartoncini e tavolozza e ritorna a dipingere. Si sente onorato per il nuovo interesse che nasce nei confronti della sua opera giovanile tanto da indurlo a realizzare delle repliche negli anni Sessanta di alcuni suoi quadri risalenti agli anni 1918-20 e altre opere ex novo tra cui spiccano le tre tele che raffigurano la donna ambientata in paesaggi simbolico-cosmico-alchemici.
Il 1969 segnerà anche l’inizio della prolifera collaborazione con l’editore e amico Giovanni Canonico, il quale stamperà poi negli anni tutta l’opera evoliana con le sue Edizioni Mediterranee. Ultimo, in ordine di pubblicazione, la ristampa per conto di “Homo Faber – Julius Evola tra Arte e Alchimia” di Elisabetta Valento studio pionieristico sull’iconologia evoliana, attualizzato nel rinnovato interesse da un’appendice di Giorgio Calcara.
Oggi, a 100 anni dalla fine del suo percorso artistico, Evola artista viene riconosciuto sempre di più anche da un pubblico internazionale.
La curiosità nei confronti dell’artista è testimoniata da passaggi in case d’asta italiane ed estere, da un crescente interesse nella ricostruzione del tragitto biografico di colui che emerge come l’unico vero esponente a rappresentare l’Italia nell’ambito dadaista internazionale e per aver aperto la strada all’astrattismo in Italia.
Tuttavia, per riuscire a realizzare questa retrospettiva a Rovereto ci sono voluti anni di ricerche intense, per fare chiarezza sull’esistenza di alcuni quadri e la loro collocazione, in altri casi per verificare i titoli e attribuire le giuste datazioni, tenendo conto del fatto che il Barone ha dipinto circa un centinaio di opere, e non una sessantina come si presumeva fino a pochi anni fa.
Oggi, passando per le sale della mostra e osservando le numerose tele, sembra che si possa ancora udire l’eco delle poesie dadaiste, scorgere squarci in paesaggi interiori, farsi avvolgere dagli intarsi di colori che appaiono come le note musicali di una composizione, vedere esplosioni belliche che si trasformano in stelle e fiori, uccelli dipinti che diventano aerei e che aprono la tela virtualmente per andare oltre. Come ha fatto Evola, quando disse “esaurita l’esperienza andai oltre”.
Link alla pagina della mostra al Mart
https://www.mart.tn.it/mostre/julius-evola-lo-spirituale-nellarte-153256