3 Decades of Dissent - Shepard Fairey in mostra a Roma – Un confronto con l’arte italiana
HOPE. L’immagine iconica che ritrae l’allora candidato alle presidenziali americane Barack Obama ha conquistato fama mondiale nel 2008 diventando l’emblema per la campagna elettorale del partito democratico, incarnando la speranza di molti cittadini per un cambiamento sostanziale nelle politiche di quel tempo.
Fosse questa speranza stata illusa o esaudita, col senno di poi e in piena campagna elettorale per le imminenti elezioni del presidente USA 2020 potrebbe di nuovo innescare riflessioni e dibattiti sulla sorte della nazione americana.
Questo controverso manifesto dell’acclamato artista americano Shepard Fairey con cui ha aperto la sua mostra “3 Decades of Dissent”, allestita nelle sale della Galleria d’Arte Moderna di Roma, segnala un apice della sua carriera da street artist che è cominciata ben 30 anni fa con la diffusione di volantini e stickers in giro per le metropoli del mondo. L’89, l’anno spartiacque che ha rovesciato l’assetto politico delle superpotenze a livello internazionale, è anche il momento in cui il giovane street artist inizia a intervenire negli spazi urbani di Rhode Island, distribuendo volantini con ritagli di giornale alienandone il senso, o diffondendo adesivi con il volto del wrestler André The Giant che intitola Obey the Giant. Presto la stessa immagine appare in numerose altre città statunitensi. L’attore wrestler rappresenta soltanto una metafora per un’altra entità “gigante”? O l’ironico appello all’obbedienza in realtà vorrebbe animare alla disobbedienza? Comunque sia, i passanti non sanno come recepire l’immagine che con la sua ambiguità stimola ad una differente percezione e attiva partecipazione alla vita che li circonda. E l’impresa di Fairey si trasforma in un esperimento fenomenologico tramite il quale attirare l’attenzione degli abitanti per considerare altresì la loro reazione, positiva o negativa che fosse. Infatti, la missione di Shepard Fairey, in arte Obey, è di portare i cittadini – spettatori a osservare le vicende con un senso critico, seguendo la massima che “l’Arte è il martello che sveglia le menti, per non subire passivamente l’amalgamante contesto urbano.”
Per i suoi tanti manifesti dalle intenzioni social-politiche, Shepard Fairey si è ispirato alla tecnica del costruttivismo russo portandolo ad una semplicità grafica, focalizzando la sua produzione sempre sull’aspetto della comunicazione. Il forte impatto comunicativo e il sapiente uso della cromia serigrafica e degli stencil per le figure che contraddistinguono molti manifesti dell’americano, l’hanno reso facilmente riconoscibile.
In occasione della sua mostra romana, curata da lui medesimo, Shepard Fairey ha voluto fare un confronto con alcune opere della collezione permanente del museo. Delle 4000 opere che costituiscono l’ampia collezione, 150 sono state sottoposte all’artista che ne ha selezionata una raccolta tra opere moderne e contemporanee che potessero meglio dialogare con le sue opere create appositamente, le quali però riprendono tutte dei temi principali del suo cammino artistico. Tra questi il movimento per la libertà afro-americana, la lotta per i diritti delle donne, l’insurrezione di minoranze sociali. Sul ritratto di Angela Davis, femminista e attivista nonché scrittrice del libro “Women, Race and Class” si stagliano le parole Power e Equality, mentre l’espressione del suo volto risulta violenta e calma a seconda dell’attitudine che l’osservatore assume davanti a questa figura leader combattente.
Invece, il pugno alzato con cui è ritratto l’attivista Jesse Jackson rappresenta il gesto diventato famoso per il movimento Black Power degli anni Sessanta, alludendo all’attivismo per i diritti civili e alle sue proclamazioni durante manifestazioni pacifiste.
Nella mostra, questi due ritratti significativi per la lotta per i diritti di uguaglianza sono stati collocati vicino all’autoritratto di Renato Guttuso, pittore e politico italiano, la cui opera si associa al forte impegno sociale. Dall’altra parte è collocata l’opera Comizio a Porta del Popolo (1955) di Giulio D’Angelo come rappresentazione di un’insurrezione popolare contro il potere stabilito in cui si potrebbe vedere un parallelismo con i movimenti citati sopra.
L’opera di Shepard Fairey Obey Hammer unisce elementi storici del design con elementi tipici della sua ricerca personale. Le frecce e i punti esclamativi richiamano il costruttivismo russo, mentre il martello e il nastro alludono ai manifesti di propaganda del realismo socialista. Appare una stella, la cosiddetta Obey Star, motivo ricorrente della ricerca di Shepard Fairey, nata ispirandosi alla bandiera russa nel ’96, che insieme alle scritte “André The Giant has a Posse” disturbano la percezione dello spazio urbano, abitualmente caratterizzato dalle pubblicità che istigano al consumismo, al quale invece vengono contrapposte le allusioni al comunismo. Vicino all’Obey Hammer si trova l’opera Compagni compagni di Mario Schifano (1968) in cui figure bianche disegnate con un tratto delicato, portatori di falce, martello e stella, ma senza teste, sono completamente immerse in una chiazza di colore rosso che può insinuare una pozzanghera di sangue.
L’opera Make Art Not War che riprende una celebre frase diventata slogan in ambito pacifista negli anni Sessanta, intende essere un incentivo per atti creativi piuttosto che distruttivi, agganciandosi agli stilemi che correnti hippie e psichedeliche presero all’Arte Nouveau. Viene messa al confronto con l’opera pittorica Santa Cecilia di Erulo Eroli (1890 – 1990) che raffigura una santa che seduce con la sua bellezza angelica e con i gesti delicati delle sue mani, e che è contornata da ghirlande di fiori come il busto della donna illustrata da Shepard Fairey. Soltanto che sembra che a quest’ultima non si possa sfuggire perché ha stampato sul collo l’imperativo “Obey”.
Risalta un’altra serigrafia intitolata Guns and Roses per la sua particolare iconicità. Ispirandosi inizialmente ad un poster cinese di propaganda per la Rivoluzione Culturale Proletaria, Fairey sostituisce l’originaria idea rivoluzionaria rappresentata dalla frase “il potere politico nasce da una canna di fucile” con un messaggio di pace, raffigurando tre canne di fucile dalle quali fuoriescono tre rose, mentre dalla rosa centrale irradiano ampi fasci di luce.
Similmente si stagliano anche i fucili nell’opera La resa delle armi di Giuseppe Salvatori davanti ad uno sfondo di forme geometriche. I fucili dipinti in andamento verticale abbinati ai disegni ornamentali perdono l’aura battagliera trasformandosi in oggetti inoffensivi.
Un tema sempre attuale e sfaccettato è trattato nell’opera Big brother is Watching You di Shepard Fairey. Nella serigrafia questa scritta in stampatello maiuscolo sovrasta un occhio scrutatore. Entrambi sono contornati da una cornice stampata dalle sembianze di filo spinato. E’ evidente il richiamo all’illustre enunciato del romanzo 1984 di George Orwell e alle sue implicazioni con uno stato totalitario, che sin dal 1998 compare spesso nel lavoro di Shepard Fairey. Emergono riferimenti ad una tecnologia strumentalizzata che spia le persone, la presenza minacciosa dell’occhio che vede e osserva tutto, catturando dati personali e sensibili, rendendo le persone prigioniere, in quanto impedite di muoversi e vivere senza controlli. Ricorrendo al concetto del “Grande Fratello” che ti guarda e che spesso compare nelle serigrafie a tiratura limitata, Shepard Fairey vuole scuotere le persone per esortarle a ripensare ai controlli continui e manipolatori da parte di multinazionali e organismi statali. Quest’opera che a maggior ragione anche oggi svela un’attualità scottante, meditando sul perpetuo monitoraggio eseguito da smart phone, satelliti e telecamere, viene contrapposta al dipinto Susanna (1929) di Felice Casorati, che raffigura la donna nuda e seduta su una sedia vicino al suo presunto amante. L’analogia con la serigrafia di Shepard Fairey consiste nel fatto che nemmeno questi due amanti sembrano consapevoli di essere spiati dal buco della serratura, aspetto che Fairey vuole però rivelare ai suoi osservatori.
Le correlazioni e le reciprocità tra le opere di Shepard Fairey e quelle della collezione d’arte contemporanea della Sovrintendenza Capitolina offrono momenti di confronto e spunti di riflessione. Attraverso le sue 30 opere realizzate appositamente per la mostra, Shepard Fairey riesce a ripercorrere molte delle tematiche che hanno scandito il suo percorso artistico, il dissenso, la lotta per la pace e l’impegno contro la violenza razziale, la dedizione per difendere la dignità umana e la salvaguardia dell’ambiente. Per lo street artist sono argomenti universali che ciclicamente ritornano pur avendo attinenza col passato e che trovano corrispondenze inattese con soggetti dei dipinti dell’arte italiana.