La Rivoluzione siamo noi
Il rinnovamento della società 40 anni dopo Joseph Beuys - “Die Revolution sind wir”
L’affermazione audace è stata pronunciata dall’artista taumaturgo tedesco Joseph Beuys (1921-1986) divenendo il manifesto di tutto il suo fare artistico. Questa massima si caricava di grande significato nella Germania degli anni Settanta, che con tanto impegno e fatica si stava rialzando dalle macerie dopo i terrori della Seconda Guerra Mondiale.
L’evento chiave che portò il giovane Beuys a diventare il promotore di un cambiamento profondo della società, risale al 1944. Joseph Beuys, che si arruolò nell’aviazione durante la Seconda Guerra Mondiale, sopravvisse allo schianto al suolo dello Stuka sul quale volava in missione nell’area orientale della Crimea, e raccontò di essere stato curato con dei rimedi sciamanici dai nomadi tartari che lo trovarono gravemente ferito. Secondo il suo racconto usarono il grasso animale come unguento e coperte di feltro per riscaldarlo.
Pur se questa vicenda fosse solo una leggenda, lo stesso provocò una crisi esistenziale in lui: «In effetti – spiega l’artista – questo shock alla fine della guerra è la mia esperienza primaria, l’esperienza fondamentale che mi ha portato a imboccare il mio vero percorso artistico, cioè a riorientarmi nel senso di un inizio radicalmente nuovo». Da considerare unica nell’arte del Novecento l’intenzione di Beuys di cambiare sensibilmente la società attraverso l’azione artistica protesa verso un continuo miglioramento di quest’ultima. A questo processo di trasformazione erano chiamati tutti i suoi componenti, tutti i ceti sociali, superando al contempo il concetto dell’artista tradizionale. Non più una società che sfruttasse le risorse in modo arbitrario sottomettendo qualsiasi cosa alla crescita, o intesa esclusivamente ad un progresso materiale, ma un’unione di persone in simbiosi con l’ambiente e con la natura per plasmare costruttivamente la giovane democrazia.
L’artista riteneva ogni uomo capace di apportare un cambiamento alla società, attraverso l’azione, in senso etico, sociale e politico. Questa convinzione lo rese anche compartecipe alla fondazione del partito tedesco dei Verdi (Die Grünen) nell’80. Così nell’ 82 Beuys viene invitato alla documenta di Kassel - importante manifestazione artistica che ricorre ogni cinque anni nel cuore della Germania - presentando l’opera monumentale dal titolo “7000 querce”. In questa occasione Beuys mette a dimora la prima piccola quercia e realizza un triangolo gigante sulla piazza del prestigioso museo Fridericianum, composto da 7000 monoliti di basalto, che vanno sostituiti ognuno da una quercia da piantare appena si vende la rispettiva pietra ad un ipotetico acquirente.
Ogni cittadino o visitatore avrebbe potuto finanziare la rimozione di una di queste migliaia di pietre partecipando al gesto collettivo per favorire l’imboschimento del centro urbano di Kassel. Ufficialmente l’istallazione si conclude nel 1987 all’apertura della successiva edizione della documenta, quando vengono rimosse le ultime due pietre dalla piazza e piantate due querce nel giardino di Beuys, scomparso prematuramente l’anno prima. Ma ancora si sta evolvendo il rituale artistico di Kassel che ha contaminato l’intera collettività ispirandola a ripensare il proprio rapporto con la natura. Per vedere il bosco di querce da Beuys ideato bisognerà attendere circa trecento anni. Nel frattempo l’artista ha suggerito numerose iniziative collettive, ecologiche e creative che sono sfociate in vere sculture sociali (“Soziale Plastiken”). Joseph Beuys aveva riscoperto il valore della vita e la centralità degli elementi naturali, tanto da dare forma (e Gestalt) alla sua poetica artistica.
La rivoluzione era altresì intesa come una rinascita spirituale e come il raggiungimento dell’armonia tra uomo e natura che si potesse concretizzare sia nella vita quotidiana che in politica. Questo suo progetto di ridisegnare la società con finalità di migliorarla in modo tangibile, oggi può apparire anacronistico, considerando che sta avvenendo un nuovo rovesciamento delle fondamenta che sorreggevano la società occidentale. Oggi sono le virtual community che dettano le regole e le norme di comportamento sociale e politico. Da un lato assistiamo ad una democratizzazione in tutti gli ambiti, una partecipazione alla res pubblica attraverso qualsivoglia commento divulgato in rete senza limitazione, fenomeni di ubiquità mediante portali, account e siti internet, una diffusione capillare di idee e manifesti condivisi tramite i click in rete.
Dall’altro lato ci stiamo allontanando dal concetto di rivoluzione inteso da Joseph Beuys: passiamo dalla volontà di ricompattare la comunità, di (ri-)costruire la società, e di coltivare il senso della responsabilità per l’ambiente e il pianeta in termini sostanziali, alle comunità digitali, in cui i rapporti spesso sono soltanto virtuali, in cui il culto della propria immagine diventa il fulcro dell’apparire più che dell’essere. Chissà dove ci porteranno gli sviluppi a velocità di byte tra qualche anno. Forse solo l’arte oggi può ancora rallentare l’andamento vertiginoso del Kali Yuga, e farsi veicolo per un cambiamento costruttivo del mondo, anche se solo per un istante in cui l’artista si trova all’azione oppure quando il visitatore s’imbatte nell’interazione con l’arte, grazie alla quale ancora oggi tocchiamo sfere oltre le fronde di quelle querce che ormai si ergeranno alte in cielo, donando più ossigeno e idee fresche alla collettività, come lo fece già l’opera dello sciamano teutonico Joseph Beuys.