Pieter Bruegel Il Vecchio “Once upon a time”
Disinvolte scene da ballo con figure apparentemente grezze ma animate da un’accesa vita interiore che trapela dalle espressioni facciali e ritmate dai colori brillanti, paesaggi adornati di infiniti dettagli, personaggi che si avvicendano in numerose attività quotidiane, giochi, diffusione di realtà paesana, brulichio di visioni coinvolgenti e sconvolgenti.
E’ questa l’indole che si rivela nelle opere del più significativo pittore olandese del Cinquecento, Pieter Bruegel il Vecchio (1525/30 - 1569), che sono state allestite per la sua “mostra del secolo” nel sontuoso edificio del Kunsthistorisches Museum di Vienna, che venne inaugurato nel 1891 dall’imperatore Francesco Giuseppe I d’Asburgo.
L’esposizione che ha radunato tre quarti delle opere ad olio pervenute ad oggi e a lui attribuite, e metà del suo opus grafico (disegni e incisioni), è frutto di un grande lavoro di ricerca e di restauro che le hanno rese nuovamente fruibili, lanciando Vienna all’indiscusso centro per lo studio di questo artista la cui ricezione è cambiata sensibilmente col passare dei secoli. L’identità a lui assegnata spazia dal titolo del “nuovo Bosch”, o “Bruegel dei contadini”, passando per umanista, moralista e pittore cristologico, per giungere ad individuarlo come satirico della società del suo tempo.
E l’ultima denominazione probabilmente apprezza meglio il suo acuto spirito d’osservatore, quando sembra che l’artista tenga lo specchio davanti a chi lo guarda rendendo il suo lavoro toccante, ovvero scioccante, tuttavia capace di lanciare un ponte inaspettato al nostro mondo hic e nunc.
Per giungere a ciò, il visitatore della mostra è invitato a percorrere le tappe con cui Bruegel ha inciso un capitolo indelebile nella storia dell’arte. All’ingresso dell’esposizione, proiezioni in alta risoluzione - che ingrandiscono certi particolari altrimenti piuttosto piccoli sebbene fondamentali per la lettura del rispettivo quadro -, preparano il visitatore ad aprirsi ai racconti stratificati e al fascino dell’immaginario fantasmagorico di Bruegel, da un lato riservando numerose allusioni e riferimenti a racconti biblici o mitologici, dall’altro rappresentando pittoricamente credenze e proverbi popolari.
L’esordio di Bruegel avviene attraverso opere di grafica e incisioni, dallo stesso artista considerate indispensabili, che manifesta già la sua tecnica raffinata e distinta che si sposa alla sua capacità di delineare un determinato momento storico, mitico, paesaggistico. All’anno 1552 risalgono le prime opere di Bruegel datate e pervenute ai giorni nostri, come “Via paesana”, disegno realizzato con inchiostro marrone, che lascia l’osservatore attonito davanti alla maestria con la quale il giovane pittore l’ha eseguito. Disegni quali “Paesaggio con San Gerolamo” (1553) o lo scorcio del “Ripa Grande a Roma” testimoniano del suo viaggio intrapreso tra il 1552-54 in Italia (oltreché in Francia), nello specifico il primo manifesta l’influenza che la pittura di paesaggio di Tiziano avrà esercitato su di lui, la quale l’artista olandese sa coniugare alla tradizione del paesaggio nordico, mostrando la sua grande originalità.
Un esempio tardo ma formidabile per lo spirito critico di Bruegel disegnatore è “Pittore e conoscitore” (1566). Sembra che il pittore ritratto non abbia le sembianze del pittore medesimo, ma che incarna perlopiù la figura dell’artista nel suo posizionamento nella società. Lo sguardo del pittore appare assorto, rivolto verso il mondo interiore, mentre il viso si carica di melanconia e introspezione profonda, aspetti che lo indurranno all’atto creativo.
In netta contrapposizione compare l’acquirente del quadro, raffigurato in procinto di estrarre delle monete dal suo borsello. Egli fissa il quadro in divenire attraverso l’occhiale con uno sguardo intontito, come se fosse sprovvisto di particolare erudizione riguardo la materia. Mediante questo disegno, Bruegel illustra con abilità l’abisso che spesso divide la sfera dell’artista creatore dall’ignoranza del pubblico.
Un’indagine intima sulle sfaccettature psicologiche del proprio io emerge dal disegno ”Elck” “Ognuno”, che si dispiega come composizione complessa dove lo stesso personaggio maschile è ripreso simultaneamente in sei attività diverse. Così questi presta il suo volto ad entrambi le figure che tirano un panno, si nasconde dentro una botte, ma è altresì raffigurato come giocoliere che si specchia sullo sfondo dentro un quadro. Disegno preparatorio per un’incisione, Bruegel l’ha arricchito di scritte che agevolano una migliore comprensione dell’opera. Non appare solo “Elck” (“Ognuno”), ma anche l’iscrizione latina “nemo non” (“non nessuno”). In tal senso, “Elck” è “nemo non” e per questo “Ognuno di noi”. Il quadro dentro il disegno con il giocoliere rivela anche il proverbio olandese “nymant en ckent sy selve[n]” - “Nessuno conosce se stesso”, profetizzando la centralità della ricerca della verità, del proprio io e del significato della nostra esistenza terrena.
L’incisione su rame “L’Alchimista” (intorno al 1558) simboleggia il vano sforzo dell’uomo di cambiare lo status quo, qui rappresentato mediante l’alchimista nel tentativo di trovare la formula giusta per trasformare il metallo in oro. L’avidità dell’alchimista di arricchirsi di nuovo benessere materiale porta la famiglia alla rovina: si vedono i figli alla ricerca disperata di cibo nelle credenze e la moglie con i borselli vuoti, mentre sullo sfondo riappare l’intera famiglia davanti alla casa per i poveri. In questo caso sembra che il Bruegel moralista voglia addossare la colpa per il fallimento di un’esistenza a stoltezza e superbia.
I sette vizi capitali hanno anche ispirato una serie di incisioni che Pieter van der Heyden ha eseguito servendosi dei disegni di Pieter Bruegel come matrice. Si apre un universo popolato da creature fantasmagoriche e demoni, dove abitazioni bizzarre prendono sembianze fitomorfe e figure umane si incrociano con esseri zoomorfe. Scenari surreali fanno da sfondo a queste messe in scena da moralista che denunciano la corruzione di cui la società è intrisa. In tutti i punti dei quadri, le incisioni offrono brevi racconti che illustrano i rispettivi vizi trattati.
Le forme e figure che saturano i vari livelli dei disegni sorprendono per la loro linfa surreale che sembrano infondere vita al rappresentato.
Il maestro olandese sembra quasi precorrere i surrealisti del Novecento come Max Ernst o Salvador Dalì laddove appaiono atmosfere oniriche in cui mostri e figure fiabesche si avvicendano generando tante piccole scene all’interno di uno stesso quadro. Mentre le visioni in Bruegel propagano già una sorprendente apertura dei livelli prospettici, i suoi abitanti si possono ritrovare forse in versione 3D in tanti cartoon e film di fantascienza odierni, anticipando di alcuni secoli l’immaginario grottesco e curioso giovanile del 2000.
Anche nella serie dedicata alle sette virtù Bruegel permette che si colgano tanti episodi di vita di paese alternati a scene ricolme di numerosi personaggi tutti impegnati e coinvolti nello svolgimento di qualche attività intesa a delucidare le virtù, al contempo sempre ammiccando al capriccio e all’ironia.
Si registra l’anno 1562 come inizio dell’attività vera e propria di Bruegel pittore. Dal 1563 Bruegel si stabilizza a Bruxelles, dove morirà nel 1569. La sua carriera artistica durerà circa 18 anni e nonostante esista un numero contenuto di opere realizzate, Bruegel rivoluzionerà la pittura di paesaggio e di genere.
L’opera “Lotta tra carnevale e quaresima” è paradigmatica per i suoi “Wimmelbilder” (immagini “dal gran brulicare”), dove si dipana una moltitudine di movimenti e figure. L’aspetto rivoluzionario consiste nel fatto che Bruegel prenda le distanze da una pittura tranquilla e armoniosa in cui le persone ritratte vengano idealizzate e inserite in contesti sospesi nel tempo, per portarla, invece, nella vita quotidiana della gente umile. [5b] Nella piazza principale di una città coeva all’artista, si assiste al passaggio dal carnevale alla quaresima di cui Bruegel rende evidente pittoricamente le usanze popolari. In primo piano l’opulento principe del carnevale che tiene un maialino allo spiedo ed è seduto in opposizione ad una figura smagrita che tiene in mano una pala con le aringhe, simbolo dell’ascesi. Sulla parte sinistra del quadro si svolgono riti carnevaleschi come sfilate, danze e teatro, mentre nella parte destra dominano miseria, funzioni religiose e elemosine. Tuttavia, osservando più da vicino il pullulare delle tante piccole scene, i netti confini tra l’abbondanza e carestia sembrano scemare in un continuo gioco di giustapposizioni.
“Gioco infantile” è anche il titolo del quadro del 1560 che per la prima volta nella storia dedica tale attenzione ai bambini - se ne contano 230, sparsi tutti su una piazza di una città fiamminga. In maniera perlopiù enciclopedica, si evincono numerosissime attività esercitate nel corso dell’anno solare e dove i 90 giochi comprendono sia alcuni contemplativo-riflessivi e altri che sfociano nella rissa. Paradossalmente, i bambini dimostrano le sembianze di adulti in miniatura che si abbandonano alle loro attività infantili.
L’eclatante spregiudicatezza di Bruegel nella ideazione di composizioni che trovano un fondamento anche nell’immaginario contemporaneo, emerge nel “Trionfo della Morte”, dove scene metafisiche si affiancano a momenti oscuri in cui eserciti di scheletri si nascondono dietro lapidi con il crocifisso, mentre singoli scheletri si rianimano per infliggere danno a figure umane, il tutto si mescola a situazioni improbabili di spiccata fantasia orrorifica.
Pieter Bruegel si sarebbe meritato un posto d’onore tra le schiere dei più brillanti esponenti del Pop Surrealismo americano degli anni a cavallo del 2000, di cui precorre visivamente l’iconografia. Infatti, la sua opera “Dulle Griet” (“Forte Greta”) sembra un valido esempio in cui folletti, satiri e ibridi antropomorfi agiscono in uno scenario apocalittico. La testa gigantesca raffigurata con gli occhi sbarrati e la bocca spalancata come una caverna, ricorda le architetture del parco dei mostri di Bomarzo. Mentre la figura principale, la “Greta Forte” per l’appunto, resa sproporzionatamente grande in primo piano è in procinto di compiere un gesto di assoluta sfrontatezza. Munita di una scatola di denaro, di spada e padella oltre che di armatura, questa insolita guerriera cinquecentesca irrompe nel panorama catastrofico, trascinando dietro a sé una folla di figure femminili che si scatenano in un combattimento con mostri e soldati in marcia. Ineluttabilmente, con accenni parodistici, Bruegel tratta qui il tema della donna vigorosa, indagando - come anche in altri suoi quadri - sui legami gerarchici tra i generi, questione tuttora rimasta attuale.
Paesaggi innevati, assolati o tenebrosi fanno da protagonisti nei quadri appartenenti al ciclo delle stagioni, insieme a figure del popolo, contadini o cacciatori. In “Paesaggio d’inverno con trappola per gli uccelli” la parte destra in primo piano del quadro è dominata dai grandi alberi e cespugli spogli che si ergono nella quiete della veduta di un paesino dove sul lago ghiacciato delle figure umane passeggiano o seguono il loro diletti, mentre la parte destra è affollata da numerosi uccelli. Nella “Raccolta del fieno” in primo piano si assiste all’operosità dei contadini, davanti alle colline immerse in un paesaggio pittoresco costellato di poche abitazioni. Queste vedute si caratterizzano tutte per l’insolita collocazione in un piano avanzato di soggetti dalle modeste origini e per il grande risalto che viene conferito ad alberi e vegetazione, scelte piuttosto inconsuete per l’epoca della loro realizzazione. Probabilmente, il dipinto accenna già al ciclo legato alla vita dei contadini che costituiscono le ultime testimonianze artistiche di questo straordinario pittore.
L’opera tarda le “Nozze contadine” (1567) si può contare forse tra le opere più conosciute di Bruegel rivelandosi testimonianza eccelsa del costume e delle tradizioni contadine del tempo permettendo di cogliere uno sguardo al vestimento, alle pietanze, al folclore e alle credenze popolari. Nel quadro, ad un lungo banchetto è seduta la cerchia d’invitati dello sposalizio, raffigurati durante il pasto frugale. La sposa prende posto sotto un telo d’onore verde, mentre dei suonatori di cornamusa allettano i festeggianti. Per la prima volta, scene perlopiù comuni con personaggi semplici vengono mostrate in maniera monumentale. Similmente, anche con il “Ballo dei contadini” Bruegel avvicina al piano dell’osservatore le danze disinvolte dei contadini e cede una posizione rilevante ad alcune figure nello stato d’ebbrezza, a un bacio spudorato e all’allegria di questa sagra paesana in atto.
La parabola del Bruegel cristologico si cristallizza in alcune opere esemplari come la “Predica di Giovanni Battista” (1566). La scena s’infittisce di una folla che assiste al momento oratorio, composta da pellegrini, monaci e soldati, a cui Bruegel assegna le sembianze dei suoi compaesani olandesi, in mezzo ai quali si scorgono solo poche figure dai tratti mediorientali. Bruegel sostituisce anche l’abituale ambientazione nel deserto con un bosco della sua terra natale. Si scopre la figura del Battista con qualche difficoltà, trovandosi egli in secondo piano da dove indica la figura di Cristo. L’osservatore ha la sensazione di aggregarsi per ultimo a questa comunità, scovando subito una famiglia rom, collocata in una posizione più strategica. Di questo gruppo, un uomo cartomante legge la mano ad un fiammingo o spagnolo, il quale rivolge le spalle al Battista. Solo molto arretrato sullo sfondo si intuisce lo svolgimento del battesimo in riva al fiume.
Nel modo medesimo, anche la “Contemplazione dei tre Re Magi” viene portata da Betlemme in un paese fiammingo coevo a Bruegel, forse nel tentativo di rendere la nascita di Gesù Bambino più tangibile per la sua gente.
Similmente, Bruegel de-contestualizza le due versioni della “Torre di Babele”, datate al 1563, estrapolando il racconto dell’Antico Testamento dalla Mesopotamia per trasferirlo nei Paesi Bassi del Cinquecento. La Torre nella versione appartenente al Museo di Vienna sembra costruita intorno ad una montagna e offre una maggiore apertura verso l’esterno concedendo di osservare ciò che succede al suo interno. Il suo corrispettivo custodito al museo di Rotterdam appare decisamente più alto considerando le proporzioni della costruzione in riferimento alle figure umane rappresentate, e si snoda lungo una rampa ellittica. Le nuvole ombrose trasmettono una sensazione di minaccia. Ma soprattutto, stupiscono il baldacchino minuscolo con una processione religiosa in corso, le finestre gotiche, le sculture e le campane, elementi discordanti per questo episodio tratto dalla Genesi.
Figura caleidoscopica e complessa allo stesso tempo, mediante la sua pittura Bruegel ci comunica l’immaginario del suo tempo, ma lo trascende laddove s’avventura nei meandri di racconti fantasmagorici, ove illustra i proverbi popolari, o trasferendo un avvenimento storico in un diverso contesto da quello originario, generando giustapposizioni visive e di contenuto che lasciano molto spazio all’interpretazione. L’artista provoca un momento di rottura lasciando dietro di sé i canoni della pittura armoniosa e idealizzante per indagare sulla vita reale degli uomini del suo tempo e per esplicare vicende storicizzate, avendo cura della immediatezza della rappresentazione e della sua comunicabilità. Laddove lascia la strada della veridicità si reca sul sentiero della grande fantasia.
La mostra di Pieter Bruegel Il Vecchio a Vienna ha lasciato un segno, registrando il sold out per gli ultimi due mesi di programmazione, attirando fiumi di curiosi e addetti ai lavori. Il proliferare di visitatori alla mostra di un pittore visionario di cui si ricorda il 450° anniversario della sua morte, crea un parallelismo con i suoi stessi quadri dove esponenti della plebe diventano partecipanti degli avvenimenti in corso trasformandosi spesso addirittura in protagonisti. Le folle e i gruppi di personaggi che animano le pitture di Bruegel risultano come le odierne comunità digitali, sono onnipresenti e connessi e, insieme all’iconografia, si spostano da un luogo all’altro senza perdere nulla della loro forza espressiva.